Ripensare la settimana lavorativa

Lo scoppio della pandemia ha messo in discussione il paradigma che la nostra presenza fisica sia richiesta in ufficio in uno spazio temporale ben definito, normalmente dalle 9 alle 18 dal lunedì al venerdì.

Un trend emergente è la richiesta alle organizzazioni da parte di sempre più persone di orari e giorni di lavoro più flessibili. Con la diffusione dello smartworking, queste aspettative che un tempo potevano apparire irrealistiche sono oggi a portata di mano.

Una settimana da 4 giorni: è veramente possibile?

L’esempio più citato al riguardo è il caso islandese, dove dal 2015 al 2019 sono stati lanciati dei programmi pilota nell’amministrazione comunale di Reykjavík che prevedevano una settimana lavorativa di 4 giorni senza una riduzione di stipendio. I risultati sono incoraggianti: la produttività è rimasta invariata e in alcuni casi è migliorata, i dipendenti citano minor stress e rischio burnout, accompagnato da un aumento generale di livelli di benessere sul lavoro. Pilota simili sono in fase di approvazione in Scozia e Spagna.

Lavorare più ore non ci rende più produttivi. Fonti: WSJ & OECD, 2021

E le aziende?

Diverse aziende hanno adottato dei modelli flessibili di tempo-lavoro. Arup, un’azienda di advisory, permette alle sue persone di distribuire il proprio lavoro su sette giorni per favorire una maggiore “work-life balance”. Le testimonianze positive di genitori che iniziano a lavorare alle 7.30 per poi passare il pomeriggio con i figli, o di chi lavora il weekend per avere più tempo da dedicare ad altri progetti durante la settimana sono rivelatrici di un nuovo paradigma per bilanciare vita personale e lavoro

Quali sono le criticità?

David Yoffie, professore all’Harvard Business School, ha sottolineato che un modello del genere può funzionare in piccole aziende, ma difficilmente verrebbe adottato da grandi società in industrie molto competitive. Altre criticità evidenziate dagli ultimi casi di studio sottolineano la maggiore difficoltà di coordinarsi all’interno di team o -come nel caso dello smartworking- la pressione sulle persone di “non staccare” nonostante i periodi di riposo più estesi.

In sintesi

Il paradigma della settimana lavorativa di 40 ore distribuite in blocchi di 8 ore giornaliere sta già cambiando. Non senza criticità e sfide, ma la pandemia ha dimostrato che disponiamo delle tecnologie e della volontà per garantire una nuova flessibilità lavorativa alle persone. Sarà una sfida per le organizzazioni adattarsi e sfruttare al massimo le opportunità.

Luca Solari

Founder di OrgTech, Professore Ordinario Organizzazione Aziendale e Innovazione & Direttore della Scuola di Giornalismo Università Statale di Milano

OrgTech è una società di consulenza che si occupa di trasformazione organizzativa basata sull’innovazione e sulla people-centricity come base per lo sviluppo sostenibile aziendale.

Ripensare la settimana lavorativa

Lo scoppio della pandemia ha messo in discussione il paradigma che la nostra presenza fisica sia richiesta in ufficio in uno spazio temporale ben definito, normalmente dalle 9 alle 18 dal lunedì al venerdì.

Una delle caratteristiche più uniche della specie umana è la capacità di organizzarsi in gruppi sociali e collaborare. Vi sono altri animali sociali sia tra le specie più vicine, come i primati, sia in quelle più lontane come gli insetti. Tuttavia, la socialità di queste specie è quasi automatica, non manifesta la capacità adattiva che hanno da sempre i gruppi del genere Homo ed è una socialità definita dai ruoli, non dalle emozioni e dalle relazioni. Quest’ultima caratteristica rende la socialità delle altre specie più necessaria e meno facile da mettere in discussione (una formica non può svegliarsi una mattina e abbandonare il formicaio perché aspira ad un ruolo diverso o non è più d’accordo con la maggioranza!), ma nel contempo meno solida, perché non è in grado di adattarsi alle circostanze.

In momenti di incertezza, quando il nostro destino è imprevedibile e l’ambiente nel quale ci muoviamo ci minaccia, la capacità di trovare una compagnia, un gruppo di persone che vivono con noi l’esperienza, è una risorsa fondamentale. Nelle interazioni che ho ogni giorno con tanti manager, soprattutto Direttori Risorse Umane, mi sono convinto che da qui dobbiamo ripartire. La pandemia ci ha portato dentro un’incertezza profonda. Anche chi tra noi ha retto bene da qualche parte riconosce un po’ di sofferenza. Ora che vediamo l’alba, ci si chiede di dare risposte alle persone. Continueremo a lavorare anche a distanza? Come cambieremo gli uffici? Quali nuove regole dobbiamo darci? Le tante domande per chi gestisce le organizzazioni rischiano di paralizzarci perché la situazione è tale che nessuno di noi può avere delle certezze. In questa possibile situazione di ansia, l’antidoto migliore è la compagnia, il trovare qualcuno di cui fidarci, al quale poter esprimere il dubbio che viviamo e vederlo accolto senza giudizio. Si tratta di un bisogno profondo e non so voi, ma io lo sto percependo in tutti gli incontri fisici che ho ripreso a fare. Incontri dove il tema centrale è condividere e rasserenarsi scoprendo che non siamo inadeguati noi che non abbiamo ancora le risposte. Prima di trovarle, cerchiamo di stare assieme così senza un obiettivo specifico: con le persone che lavorano con noi, con i nostri fornitori e con i nostri clienti. Ripartiamo da lì!

Un trend emergente è la richiesta alle organizzazioni da parte di sempre più persone di orari e giorni di lavoro più flessibili. Con la diffusione dello smartworking, queste aspettative che un tempo potevano apparire irrealistiche sono oggi a portata di mano.

Una settimana da 4 giorni: è veramente possibile?

L’esempio più citato al riguardo è il caso islandese, dove dal 2015 al 2019 sono stati lanciati dei programmi pilota nell’amministrazione comunale di Reykjavík che prevedevano una settimana lavorativa di 4 giorni senza una riduzione di stipendio. I risultati sono incoraggianti: la produttività è rimasta invariata e in alcuni casi è migliorata, i dipendenti citano minor stress e rischio burnout, accompagnato da un aumento generale di livelli di benessere sul lavoro. Pilota simili sono in fase di approvazione in Scozia e Spagna.

Lavorare più ore non ci rende più produttivi. Fonti: WSJ & OECD, 2021

E le aziende?

Diverse aziende hanno adottato dei modelli flessibili di tempo-lavoro. Arup, un’azienda di advisory, permette alle sue persone di distribuire il proprio lavoro su sette giorni per favorire una maggiore “work-life balance”. Le testimonianze positive di genitori che iniziano a lavorare alle 7.30 per poi passare il pomeriggio con i figli, o di chi lavora il weekend per avere più tempo da dedicare ad altri progetti durante la settimana sono rivelatrici di un nuovo paradigma per bilanciare vita personale e lavoro

Quali sono le criticità?

David Yoffie, professore all’Harvard Business School, ha sottolineato che un modello del genere può funzionare in piccole aziende, ma difficilmente verrebbe adottato da grandi società in industrie molto competitive. Altre criticità evidenziate dagli ultimi casi di studio sottolineano la maggiore difficoltà di coordinarsi all’interno di team o -come nel caso dello smartworking- la pressione sulle persone di “non staccare” nonostante i periodi di riposo più estesi.

In sintesi

Il paradigma della settimana lavorativa di 40 ore distribuite in blocchi di 8 ore giornaliere sta già cambiando. Non senza criticità e sfide, ma la pandemia ha dimostrato che disponiamo delle tecnologie e della volontà per garantire una nuova flessibilità lavorativa alle persone. Sarà una sfida per le organizzazioni adattarsi e sfruttare al massimo le opportunità.

Luca Solari

Founder di OrgTech, Professore Ordinario Organizzazione Aziendale e Innovazione & Direttore della Scuola di Giornalismo Università Statale di Milano

OrgTech è una società di consulenza che si occupa di trasformazione organizzativa basata sull’innovazione e sulla people-centricity come base per lo sviluppo sostenibile aziendale.